John Adams: il fascino dell’imperfezione

Paul Giamatti è uno dei miei attori preferiti. Sarà la sua aria da pacioccone o la sua espressività che compensa non certo un phisique du role di altre star Hollywoodiane. O forse sarà che ho letteralmente adorato la Versione di Barney, un film dove il nostro Paul e la splendida Rosamund Pike fanno a gara a chi sia più bravo. Quando ho scoperto per puro caso che era stato protagonista di una serie in costume non ho potuto resistere. E così ho scoperto John Adams, serie che porta la firma alla regia di Tom Hooper, uno che con i grandi eventi storico-politici ha ormai una certa dimestichezza (Il Discorso del Re). Insomma, le premesse per un prodotto di spessore c’erano. Sono state rispettate? Indossate parrucca e tricorno e venite con me nelle 13 colonie alla vigilia della Rivoluzione Americana.

ASCESA E DECLINO DI UN UOMO IMPERFETTO

La prima sorpresa è stata scoprire che è una mini-serie di oltre un decennio fa. Parliamo infatti del lontano 2008. La seconda è stato scoprire che è sbarcata in Italia solo recentemente (Sky e Nowtv). La terza (anche se, una volta conclusa la serie, la sorpresa si tramuta in gradita conferma) è stata che ha fatto incetta di premi. Meritatamente, devo aggiungere.

Di cosa parla, quindi, questa serie? Non appare molto difficile svelare l’arcano dato che il titolo, essenziale, ci presenta un prodotto dedicato ad una figura che nella cultura americana e nella storia che ha portato alla nascita degli Stati Uniti, assume un grande rilievo. La particolarità che connota tutta la serie e che si declina in una sceneggiatura ed in una interpretazione di Giamatti (che indossa le vesti di Adams) di altissimo spessore, è quella di non scadere mai nella retorica, mai nella agiografia di uno dei “padri della Costituzione”.

A ben vedere, salvo i più appassionati di storia americana, difficilmente l’uomo comune dei nostri lidi ha mai sentito granché parlare di questo arzillo personaggio che a Boston prima, a Philadelphia poi ha seminato i germogli degli Stati Uniti.

Un avvocato tutto d’un pezzo, appassionato ma non certo esente da difetti. In primis l’irresistibile impulso di sfoggiare il suo sapere e la sua arguzia in ogni occasione. Per non parlare del difficile rapporto con il figlio minore anni dopo.

Successi, delusioni, sbandamenti, amicizie, dibattiti pubblici. La profonda umanità di un personaggio molto più vicino di una semplice voce su un libro di storia.

Esordiamo con un Adams quarantenne che vediamo impegnato nel suo caso più importante: difendere soldati inglesi rei di aver sparato sulla folla. A Boston. Mentre serpeggia il malcontento contro la Madre Patria inglese. Lo dico subito: a volte il nostro John sa essere antipatico. Ed è proprio questo uno dei punti di forza della serie. Non è perfetto. Ha lati oscuri che lo portano a compiere scelte discutibili, ha ambizioni che si infrangono con la dura realtà, a volte viene pure sbeffeggiato dai suoi avversari. Eppure, ed ecco il fascino del personaggio, non molla mai. E così uno dei più grandi fautori dell’esigenza di indipendenza delle colonie americane si impegnerà a difendere degli inglesi, rischiando di fatto la propria carriera. L’idealismo di Adams è affascinante ma, ripeto, non è mai qualcosa di puro e irrealistico, slegato da più terrene ambizioni personali. Come tutti, anche lui aspira al riconoscimento sociale delle sue imprese e, quando ciò è assente, soffre. Il nostro avvocato-politico riesce ad avere una profondità insolita in serie dedicate alla vita di personaggi storici. Nelle puntate rimanenti ( in totale sono 7), lo vedremo protagonista della Dichiarazione di Indipendenza ma non solo. Il lungo peregrinare per l’Europa alla ricerca di alleati, il suo arrivo in Francia all’ombra di un Benjamin Franklin molto meno serio di quanto si possa pensare. La frustrazione di essere lontano dalla politica che conta, le sue lettere inviate alla moglie (interpretata da una maestosa Laura Linney) ci trasmettono tutta la sua solitudine. Poi avremo il ritorno in terra americana e l’incarico di vicepresidenza, costellato dall’impotenza di poter incidere sulla politica presidenziale fino all’incarico di presidenza, subentrando a Washington.

Non è una scalata vertiginosa alle vette del potere, non è una cavalcata trionfale di un uomo guidato solo dalle sue idee. E’ una tortuosa strada tormentata, fatta di inciampi, crisi, gioie. In poche parole: è umana. La sceneggiatura, che si basa sull’opera omonima di McCullough, riesce a restituirci tutte queste sfaccettature, facendoci empatizzare con una persona tremendamente reale, fallace e per questo “vicina” a noi, malgrado il contesto storico.

Il legame tra Adams e la moglie è magnifico. Scritto magistralmente e interpretato da due attori in formissima.

UNA SERIE CON I FIOCCHI

Un plauso va fatto a chi ha deciso il casting. Se c’era un attore capace di restituire le mille facce dell’animo umano, camminando sul filo del rasoio tra la mediocrità di una persona con le sue insicurezze e la grandiosità di chi va avanti nonostante queste, beh, quell’attore è proprio Paul Giamatti. Al di là della somiglianza con i ritratti d’epoca che ci presentano un Adams rotondeggiante, il nostro Paul ci regala una interpretazione di livello. Lo stesso possiamo dire per l’eccellente cast di contorno. In particolare vedremo spesso il dualismo con l’amico-nemico Jefferson (interpretato da quel Sthepen Dillane che presterà il volto a Re Stannis nel Trono di Spade anni dopo), due volti dell’America. Più sanguigno e concreto Adams, più filosofo e illuminista Jefferson.

La regia è misurata, raffinata così come la fotografia che ha un livello cinematografico. Quanto al comparto musicale, ho notato non pochi rimandi al Barry Lyndon di Kubrick che continua, dopo anni, a evocare l’epoca settecentesca.

Per concludere, John Adams è una serie che consiglio a chi vuole assaporare la nascita dell’America moderna senza scadere nella retorica patriottica alla “Il Patriota” et simili. Ma, soprattutto, è l’occasione per vedere una serie biografica (che copre circa quarant’anni) che riesce a regalarci un personaggio “vero”, nella sua imperfezione.

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