Don’t look up: negando l’evidenza

Non potevo tornare parlando di un film qualunque. Dopo tutto questo tempo e visto il plumbeo contesto che continua a circondarci anche in questi primi giorni dell’anno nuovo, serviva qualcosa di frizzante. Non però troppo dolciastro o eccessivamente amaro, c’era bisogno di un sapore che sapesse bilanciare pessimismo e ottimismo, lacrime e risate, rabbia e calma. E Adam McKay col suo “Don’t Look Up” secondo me ci è riuscito in pieno. 

Il buon Adam non è nuovo a film estremamente graffianti, popolati da personaggi volutamente sopra le righe che, insieme ad un montaggio serrato e ad un accompagnamento musicale accattivante, ci offrono uno specchio non così distorto nella nostra realtà. Saper far ridere e pensare non è cosa da tutti, scadere nel puro demenziale o nella stucchevole retorica è un rischio per opere che, come quelle di McKay, corrono sul filo del rasoio tra i due estremi. A mio avviso, come nelle ultime due opere del regista (La grande scommessa e Vice), l’operazione è perfettamente riuscita. 

Di Caprio e Lawrence perfettamente calati nel ruolo, due personaggi umanissimi nelle loro reazioni all’assurda (nonché tragicomica) situazione di apocalisse annunciata.

Il film parte dalla domanda: “Cosa accadrebbe se un asteroide venisse avvistato in direzione del nostro pianeta?”. Essendo cresciuto a pane e Armageddon, senza dimenticare tutti i film catastrofici che diventano una vetrina per i maghi degli effetti speciali che cercano di alzare l’asticella ad ogni pellicola, sembrerebbe che la risposta sia ovvia e banale. Il mondo reagirebbe, verrebbe annunciata una missione salva-Terra, incaricato un eroe e alla fine saremmo tutti felici e contenti di una umanità che se l’è cavata ancora una volta contro i favori del pronostico. McKay – che firma anche la sceneggiatura – ci riporta con i piedi ben saldati al suolo, indicandoci con un sorriso irriverente cosa potrebbe davvero accadere e quali assurdi comportamenti la nostra società “evoluta” porrebbe in essere. Abbiamo di tutto: l’astronomo colto ma impacciato che si fa sedurre (in tutti i sensi) dalla fama, l’idealista giovane che viene messa da parte, una politica sorda a qualsiasi emergenza e che pensa solo ai propri risultati elettorali, i mass media che puntano più sull’audience che sulla cronaca vera e propria, i grandi padroni del mondo social e tecnologico affetti da una asociale meganomania ed un potere sconfinato.

Una presidente totalmente inadeguata, un generale che lucra pure su un pacchetto di patatine ed un miliardario detentore del premium pass per la Casa Bianca (essendo stato il maggior finanziatore della presidente). Cosa mai potrà andare storto?

Come suo solito, il regista si fa accompagnare da un cast stellare che non ha certo bisogno di presentazioni. Un Di Caprio che veste i panni di un mediocre, un uomo comune con tutte le sue debolezze e insicurezze. Una Lawrence senza peli sulla lingua, una Streep come al solito monumentale e questa volta memorabilmente esilarante senza dimenticare i vari Ryance (che interpreta una sorta di fusione tra Cook, Mask, Bezos e Zuckemberg) ,Hill (nei panni di un divertentissimo imbecille alla Casa Bianca), Blanchett (una giornalista disillusa e disinibita). Nota di merito anche all’accompagnamento musicale, che trasmette lo scandire del conto alla rovescia mondiale tra cambi di ritmo e motivi allegri. 

I mass media, che devono tenere il pubblico di buon umore o che si piegano al volere del politicante di turno, non ci fanno una bella figura. E gli stessi social non ne escono benissimo.

La grandezza di Don’t Look Up è riuscire a presentarci tutti i personaggi di cui sopra in maniera dannatamente divertente. I momenti demenziali non sono pochi ma non sono mai fini a sé stessi finendo per essere sempre interconnessi con un messaggio, una sagace critica sociale che nella sua irriverenza ci fa pensare forse più di un documentario di qualche ora. La nostra è una risata amara proprio perché frutto della consapevolezza che il grottesco poggia su basi reali. Sarebbero mille le cose da dire, decine i riferimenti alla società americana e non solo, alle debolezze di un mondo che è diventato incapace di comunicare pur avendo ogni sorta di social. Le notizie che fanno audience riguardano storie amorose tra cantanti, la classe politica viene pescata tra ex celebrità della televisione, i direttori di agenzie federali sono scelti sulla base di simpatie e non competenze. Potrei continuare per molto ma il film è una piatto da gustare in prima persona assaporandone le varie sfumature tra un boccone e l’altro.

Come in Vice, McKay lavora al film come se fosse un abile mosaicista, la sua forza non è tanto nelle singole scene ma nel complessivo quadro di insieme. Anziché parlare attraverso grandi scene, partendo dal generale per arrivare al particolare, lui opera in senso opposto. I singoli eventi e le varie storie vanno a concatenarsi solo considerando l’opera nel suo complesso, facendo quei famosi passi indietro che siamo costretti a fare per ammirare un quadro puntinista. Quelle seppur belle macchie di colore che inizialmente ci sembravano sconnesse assumono un nuovo significato osservandole una accanto all’altra. E così la nostra società, che si fregia di essere super connessa, finisce per essere sorda ad un allarme colossale. E, come se non bastasse, fanno capolino cospirazionisti e politici che senza alcuno scrupolo cavalcano l’onda e la dabbenaggine dei loro “follower”.

L’evidenza a volte non basta.

I problemi possono essere nascosti sotto un tappeto molto grande o lasciati sopra le nuvole. 

Basta non guardare sotto il tappeto.

O non guardare sù. 

Consigliato a tutti, alla prossima.

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