The Irishman: il valzer dei giganti immortali

Ho visto the Irishman con mio padre

Ha un debole per De Niro e per i gangster movie in generale. Vabbè, direte voi, chiunque ami il cinema ha un debole per De Niro, no?

Difficile sia altrimenti, avete ragione. Se conosco film come C’era una volta in America ed il Padrino (nella parte II si aggiunge al super cast anche il caro Bob) è grazie a lui. Non oso pensare a quante volte li ha rivisti. Se ci fosse un premio Guinness dei Primati per la visione ripetuta di pellicole, potrebbe ambire al primo posto. Mi viene da sorridere. Quando ero piccolo mi ha portato a vedere un paio di volte qualche cinepanettone e, a distanza di anni, gli ho restituito (involontariamente) con gli interessi la visione di film non certo memorabili come Justice League (che, quanto a sceneggiatura, non ha niente da invidiare con film come “A spasso nel tempo!”). Quest’ultima pellicola l’ha sopportata solo per Ben Affleck che è – inspiegabilmente – uno dei suoi attori preferiti. Pensate che è uno dei pochissimi estimatori di Daredevil. Il film, non la serie.

Un’altra volta andammo a vedere Titanic in un cinema claustrofobico. In prima fila. Sembrava di essere a bordo insieme a Di Caprio e alla Winslet. Sono passati 20 anni. Di già. Leonardo è invecchiato, ha vinto un Oscar (dopo innumerevoli tentativi) e noi siamo ancora a guardare film.

Ma non divaghiamo.

Ho visto the Irishman con mio padre, dicevo. Purtroppo non al cinema perché la sala più vicina era a circa 100 km. Non voglio dilungarmi sulla diatriba intercorsa tra i gestori delle sale italiane e Netflix. Dico solo che è un delitto dover vedere una pellicola di tale calibro non in sala. E così abbiamo dovuto aspettare che Netflix lo rendesse disponibile, ci siamo seduti e abbiamo premuto il tasto play… senza sapere che la pellicola durava ben tre ore e mezza. 

Un tempo sulla carta lunghissimo che però è volato, trascinati dalla storia intensa e raccontata divinamente di questo “Irlandese” con le fattezze di De Niro. Una vita nella criminalità mentre l’America cambia ed i Presidenti si susseguono, in maniera violenta o con scandali di mezzo. Dovrei dire qualcosa sull’ultima opera di Scorsese ma come si può recensire un film di tale calibro? Cosa potrei scrivere sulle interpretazioni di mostri sacri della storia del cinema come De Niro, Pacino, Pesci diretti da un altro gigante come Scorsese? E’ davvero necessario ricordare che questi immensi interpreti che ci hanno emozionato una vita nei ruoli più disparati siano ancora in grado di esprimere un’emozione con un semplice sguardo? 

E’ come vedere un All-Star game cinematografico. Pensate ad una partita di calcio con in campo Pelè, Maradona, Crujff, Van Basten, Beckembauer e Baresi. O una gara di F1 con Senna, Shumacher, Fangio. Siamo su questi livelli.

Il Pelè ed il Maradona del Cinema, uno a fianco all'altro. Che dire?
Il Pelè ed il Maradona del Cinema, uno a fianco all’altro. Che dire?

Quando Frank Sheeran (l’Irlandese) deve prendere decisioni dolorose non servono grandi monologhi. Basta guardare gli occhi del nostro amico Bob. E lo stesso quando il focoso Jimmy Hoffa tira fuori il proprio orgoglio senza badare a conseguenze di sorta, grazie alla mimica mostruosa di Al. O, ancora, quando il Russel Bufalino di Pesci dà un ordine con tutta la calma del mondo ma senza lasciare grandi alternative osservando di sottecchi il suo interlocutore.

L’effetto ringiovanimento (grazie al digitale) è forse straniante nei primissimi minuti (sopratutto su De Niro che rischia inizialmente un “effetto Berlusconi”) ma col passare del tempo ci si abitua. 

Un gangster movie in grande stile che intreccia piani temporali differenti, portandoci avanti e indietro nella storia di Frank e degli USA stessi, regalandoci un affresco di un’epoca che non c’è più. Scorsese, lungi dall’essere auto-referenziale (vero, Tarantino?), mantiene sempre la barra dritta e dipinge su tela il quadro della vita di un mafioso senza grandissime qualità o doti intellettive ma dotato di una filosofia di vita che ha sempre rispettato e che si potrebbe riassumere in “E’ quello che è”. Ci sono cose che vanno fatte per sopravvivere. E forse non è un caso che anche questo Frank sia un reduce di guerra come il Michael Corleone del Padrino. La paura ti trasforma, “la proviamo tutti” afferma in uno dei suoi (rari) pensieri più profondi il Frank di De Niro. 

Le tre ore e mezza volano anche grazie alla sottile auto-ironia che Scorsese sapientemente dosa tra una vicenda e l’altra. Saper miscelare dramma e sorrisi è una delle doti forse più rare in qualsiasi campo artistico, ancor più in quello cinematografico ed il regista newyorkese è un maestro anche sotto tale profilo. Scorsese, un artista che, dopo una gloriosa carriera, riflette sul tempo, il vero protagonista di The Irishman. Non si toccano le vette malinconiche di C’era una volta in America, ma tutto il film è pervaso dall’idea dal ticchettio incessante delle lancette. Sotto alcuni personaggi compaiono delle didascalie che, quasi come un epitaffio, ci anticipano data e modalità di morte. Nulla è per sempre. E anche i giganti che sembravano perennemente sulla cresta dell’onda scompaiono ed il loro nome non viene ricordato dalle giovani generazioni. Jimmy Hoffa non è che un nome tra tanti, affogato nel mare temporale insieme a tutti gli altri. Non è certo una sbiadita fotografia a riportarlo in auge.

Al Pacino regala la solita immensa interpretazione con un personaggio carismatico come pochi.
Al Pacino regala la solita immensa interpretazione con un personaggio carismatico come pochi.

Se è vero che questi mafiosi che abbiamo seguito in un lungo viaggio sono scomparsi, cancellati dalla inesorabile vecchiaia, lo stesso non possiamo dire dei loro interpreti e di chi c’è dietro la macchina da presa. Non voglio pensare che sia un canto del cigno di monumenti viventi che hanno fatto la storia ma, anche se lo fosse, quel che è certo è che le loro immortali interpretazioni sopravviveranno al ticchettio dell’orologio. Se proprio deve essere l’ultimo giro di Valzer di Attori immensi, posso solo dire che mi sono goduto tutto il ballo. Fino all’ultimo passo.

Un film sul tempo, fuori dal tempo e, probabilmente, senza tempo.

Ho visto the Irishman con mio padre.

Ed è stato Cinema.

15 pensieri riguardo “The Irishman: il valzer dei giganti immortali

    1. A quanto ho capito non sono tanti i cinema che si sono defilati nella protesta contro Netflix. Purtroppo nella mia zona non ho avuto la possibilità di vederlo in sala. Un enorme peccato. Fammi sapere poi se te lo sei goduto come ho fatto io.
      P.S. (siccome sono 3 ore e mezza, consiglio una prima serata. Non come me e mio padre che, ignorando bellamente la durata, abbiamo iniziato la visione alle dieci passate).

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  1. Davvero a tuo padre è piaciuto Daredevil? 😀
    Dev’essere un soggetto singolare 🙂 Ma approvo la passione per Affleck, someways, ancorché controversa.
    Onestamente la cosa che racconti sulla faccia plasticata à la Chevalier di De Niro mi inquieta 😯
    Non so se lo potrei sopportare e mi ci potrei abituare…

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    1. Su Ben Affleck, penso che il migliore sia il fratello Casey (anche se ha sempre l’ingrato compito di essere il Beppe Fiorello versione Hollywoodiana: ogni volta che c’è da interpretare un eroe tragico tocca sempre a lui). Sulla plasticata, l’effetto del digitale ringiovanimento si è fatto sentire, per me, solo nei primi minuti (anche perché in quel caso toglieva davvero tanti anni al caro Bob), poi si nota poco.

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      1. Meno male…
        … su Casey Affleck: probabilmente è in giro da molto più tempo di quanto sappia io, ed è un peccato in tal caso che lo si nomini con una certa frequenza solo ora.
        Confesso che credo di non aver visto nulla di suo: volendo, da cosa mi consiglieresti di cominciare?

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      2. Penso che Manchester by the Sea sia il film da cui partire. Però prepara fazzoletti perché le lacrime che si versano in quel film sono infinite. Andando su un versante più action, direi di vedere Codice 999 (e anche in quel caso un pochino si soffre, come in ogni film recente del buon Casey). Da tenere d’occhio il suo ultimo lavoro “Light of my life”, presto in uscita, che mi ricorda moltissimo la trama del videogioco The Last Of Us.

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  2. Ho amato particolarmene questa tuo intervento, Amulius e non solo perché, come tuo solito, è scritta in punta di penna (come anche nel caso dell’amico Lapinsu, tu non riesci fortunatamente a nascondere l’ascendenza letteraria della tua prosa e ad ogni passaggio trapela la poetica di chi, come te, è fondamentalmente uno scrittore, prima che un pubblicista), ma perché hai scelto di fatto di non scrivere una vera recensione, quanto un segmento letterario sull’amore per il Cinema e sui rapporti umani, facendo molto più di quello che altri recensori esperti hanno invece fatto: con una forma di rispetto quasi commovente, hai reso manifesto il pensiero profondo di Scorsese, dietro tutto il suo lavoro e reso ancor più palese in quest’opera titanica di memoria (storica e filmica) ovvero i rapporti umani tra i personaggi.

    Tu, Amulius, hai evidenziato questo, ancor prima che con le parole esplicitate, con la costruzione di fatto di una parabola, nella descrizione del rapprto deliziso e commovente che lega te e tuo padre alla Settima Arte, regalando le uniche vere cifre che, aldilà dello specifico filmico sopraffini della pellicola di Scorsese (come un montaggio sovraumano, un lavoro di sound design che porta la soundtrack musicale quasi a scomparire, le scelte di messa in scena con la macchina da presa che si allonta sempre di più dagli omicidi mano a mano che il film procede fino a descriverne alcuni persino fuori campo e tantissimo altro), sono indubbiamente la memoria, il senso di colpa, l’ineluttabilità del male nel crimine organizzato ed infine come tutto questo porti a distruggere il bene supremo della famiglia, qui celebrata da Scorsese, sopra la mafia, sopra i presidenti e persino sopra l’omicidio.

    Come ho già scritto su Facebook appena uscito dalla prima visione in lingua originale al cinema (non ho alcun merito in questo, giacché nella mia città il film è rimasto in cartellone per settimane, grazie alla Cineteca del Comune di Bologna, che tra l’altro ha proprio Scorsese tra i suoi sponsor privati, finanziando assieme a Coppola restauri importanti, come la versione in 4K di Vertigo di Hitchcock, tornato anch’esso sul grande schermo nelle settimane scorse), per me è già uno dei due film dell’anno, assieme a Parasite.

    The Irishman, scrivevo e ribadisco, è il film di una vita intera di cinema non solo gangsteristico, questo si un vero Once Upon a Time, ma fatto di sostanza e non di fuffa. Un capolavoro senza se e senza ma, che sono certo resterà negli annali.

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    1. Devo confessarti che avevo visto il tuo post su facebook ad inizio mese ma, vuoi per un immotivato timore di spoiler ma – sopratutto – vuoi per non avere un ulteriore aumento di “hype” (ormai parola sdoganata per descrivere la fremente attesa di un film/gioco/libro etc. etc.), che dopo Once Upon a Time in Hollywood ho imaprato che gioca brutti scherzi, non l’ho letto fino in fondo. Dopo la visione mi sono messo comodo e ho potuto constatare come, in una mini-recensione vera e propria (stavolta su fb) hai saputo riassumere (col solito stile elegante e la competenza tecnica che ti contraddistinguono) la grandezza di questo film. Non sai quanto sono sollevato che Scorsese non mi abbia deluso come Tarantino. Temevo il peggio, dopo la batosta di settembre, davvero. Parasite me lo sono perso purtroppo.
      Ti invidio per la tua visione in sala di The Irishman, se non erro avevi postato di Scorsese a Bologna qualche mese fa, mi pare. Io resto basito dal constatare l’assenza del film nella mia città e nei paraggi, una cosa semplicemente vergognosa.
      Ora, al di là dello Star Wars di turno (che spero non sia banale), ho nel mirino 1917 del buon Sam Mendes di cui sento parlare un gran bene.

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      1. Ovviamente ti ringrazio moltissimo per le generosissime parole per il mio piccolo post su Facebook, ma la tua è invece una bellissima pagina di prosa sulla memoria (personale) e sul rimpianto (dei personaggi del film, specie Sheeran): ho apprezzato enormemente la bella analisi che hai fatto anche in risposta a Wwayne…
        Penso che le persone che ti conoscono e che possono vederti all’uscita dal cinema o anche il giorno dopo riescano a godere di una visione del film sempre molto lucida ed in diretta…

        P.S. Anche se non raggiunge i livelli quasi spasmodici di attesa che riserbo al nuovo misterioso film di Nolan, anch’io mi aspetto un grandissimo Mendes

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  3. SPOILER WARNING
    De Niro è riuscito a rendere benissimo il dolore straziante che prova il suo personaggio nel dover uccidere il suo migliore amico. Va detto comunque che quest’evento è un colpo di scena fino a un certo punto: infatti il personaggio di De Niro si ritrova molto presto a dover essere servo di 2 padroni, e quindi era facilmente prevedibile che ad un certo punto si sarebbe ritrovato a dover scegliere tra l’uno e l’altro. Lui decide di schierarsi col più forte e buttare a mare il più debole: una scelta cinica ma non indolore, e viste le conseguenze (ovvero la distruzione del già freddo rapporto con la figlia) neanche così saggia.
    A proposito della figlia: fossi stato io in Scorsese l’avrei fatta riappacificare col padre. Scorsese ha avuto paura del lieto fine, ovvero la paura più assurda che possa avere un narratore.
    Hai ragionissima quando dici che, pur avendo una durata spropositata, The Irishman non ha neanche un momento morto. E infatti perfino io, che di norma metto in pausa un film ogni 10 minuti, nelle 3 ore e mezzo di The Irishman l’ho fatto soltanto 2 volte: la prima dopo 2 ore e 10 minuti e la seconda dopo 2 ore e 49 minuti. Mi dispiace soltanto che si sia un po’ sciupato dopo le prime 3 ore: da quel momento in poi la narrazione assume una piega troppo malinconica. Non soltanto perché il protagonista non si riappacifica con la figlia, ma anche perché Scorsese calca troppo la mano sul decadimento fisico di De Niro e Joe Pesci. La scena in cui quest’ultimo lotta con le unghie e con i denti per riuscire a lanciare le bocce, oppure quella in cui De Niro non riesce a reggersi in piedi dopo essere uscito dal bagno, sono dei momenti di tristezza gratuita che Scorsese poteva tranquillamente risparmiarsi. Quando guardo un film non è la tristezza in sé a disturbarmi, ma la tristezza fine a se stessa: Scorsese in questo non ha saputo darsi un contegno.
    Chiudo citando una scena marginale ma che mi ha molto colpito, ovvero quella in cui la moglie di Hoffa esita a lungo prima di girare la chiave della macchina, per paura che possa esserci una bomba sotto il sedile. Descrive perfettamente lo stato di inquietudine costante in cui vivono i mafiosi, un’agitazione perenne che a mio giudizio non varrebbe la pena di provare neanche per tutto l’oro del mondo. Anche la moglie di Hoffa se ne accorge in quel momento, e darebbe tutto quello che ha per potere vivere una vita magari più modesta, ma anche più tranquilla.
    La verità è che The Irishman, per la sua durata e per la sua qualità, ha almeno altre 10 scene significative quanto quella che ti ho citato. Ma è quella che mi è rimasta più impressa.

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    1. Una delle cose che mi hanno colpito di più del film è che “l’irlandese” sia effettivamente una persona senza grandi qualità. Non è uno scaltro mafioso alla Michael Corleone, né anche un self-made man che ne ha viste tante come il Noodles di C’era Una Volta in America. E’ sostanzialmente un mediocre che fa quello che deve fare. Punto. E trasmetterci l’emozione in un personaggio così, diciamolo, poco carismatico non è banale. Inutile dire che De Niro ci è riuscito, senza bisogno di parole. Sulla figlia non saprei cosa dire. Da un lato avrei preferito un confronto finale, dall’altro mi piace pensare al fatto che alla fine Sheeran abbia pagato il prezzo più grande per tutta la sua vita: la figlia non è semplicemente arrabbiata ma ha perso quella poca stima che aveva nel padre. C’è qualcosa di peggio per un genitore? Sopratutto per uno che si era giustificato (alla Walter White) dicendo che voleva proteggere i propri familiari? Non credo.
      La scena dell’auto è meravigliosa, non ti nascondo che anche io ero in tensione come lei.

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